I gruppi etnici che nel corso del tempo da nomadi divennero stanziali, per scegliere l’area sulla quale edificare la propria dimora piuttosto che un’intera città, si avvalsero di sistemi tramandati oralmente, che divennero “regola scritta” nel 2.700 a.C. in Cina.
Anche i Romani usavano un simile protocollo: sceglievano il sito dove edificare in base all’esposizione al sole, al riparo dai venti e dai nemici, in prossimità dell’acqua, protetto alle spalle dalla “montagna” – entità reale o simbolica – e aperto sul davanti. Quindi vi portavano le loro greggi a pascolare per un paio di mesi: l’osservazione dello stato di salute degli animali e l’analisi del loro fegato dopo la permanenza sul luogo, determinavano la scelta di edificare piuttosto che di procedere nella ricerca di un nuovo terreno, sano.
A tutt’oggi la scelta del luogo, il rapporto dell’edificio con la natura circostante, l’orientamento e la corretta esposizione alla luce del sole, la forma, rappresentano le basi teoriche dell’’Architettura (quella con la A maiuscola) per poter procedere con i lavori.
La domanda che potremmo porci a questo punto è la seguente: come mai stazionando su alcuni terreni gli animali si ammalavano? Come mai il terreno, che nell’antichità non era certo inquinato da sostanze chimiche, poteva rappresentare un pericolo per la salute dell’uomo o degli animali? Quali segreti celava il sottosuolo? Forse una misteriosa energia proveniente dai meandri della terra contaminava i luoghi e faceva ammalare le greggi e gli abitanti che vi si insediavano?
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